Quando parliamo di femminismo, di cosa parliamo?

I tempi attuali hanno bisogno di inglobare più cose, più persone, più ruoli.
Non possiamo più permetterci che sia solo l’argomento di alcune donne, secondo moltɜ più “emancipate” di altre. Non sarebbe corretto, finanche riduttivo. Non sarebbe corretto che fosse appannaggio esclusivo di donne bianche benestanti, che comunque vivono una posizione di “privilegio”.
 
Il femminismo oggi ha bisogno esso stesso di un’altra emancipazione. Quando nasceva il movimento femminista l’intento era certamente conquistare la parità. Non la parità di genere, come moltɜ confusamente continuano a raccontare, ma una parità nei DIRITTI, diritti economici, sociali, politici e nei rapporti sociali. Noi non siamo uomini e non vorremmo neppure esserlo.
Quindi, poco c’entra il desiderare di farsi aprire una portiera o decidere di accettare l’offerta di una cena. 
Il femminismo è oggi in molti casi icona delle donne che vogliono affermarsi, che desiderano fare carriera, che hanno voglia di scalare le vette di un successo professionale. Di donne che affermano a gran voce di non volere figli. E rivendicano a ragione questo diritto.
 
Ci siamo invece forse dimenticatɜ delle donne che, contrariamente e volontariamente, vogliono dedicarsi alla propria famiglia, ai propri figli e alla propria casa. Ci siamo  scordatɜ di essere democraticɜ con quelle che i diritti spesso se li sudano anche di più.
 
 
Il grande equivoco storico è infatti pensare che la donna che sta a casa non lavora. Equivoco avvalorato da uno Stato che, nello stato di famiglia, la ritiene “a carico” del coniuge. Insomma “becca e bastonata” (come si dice in Toscana). 
Quando pensiamo a lavoro “non pagato” ci vengono in mente quelle forme illegali di lavoro in nero oppure quelle legate a retribuzioni sottovalutate. Difficilmente vengono in mente tutte quelle mansioni che in casa, se si vuole vivere con un minimo di pulizia e decoro, siamo “obbligatɜ” a fare. Pulire la cucina, lavare i pavimenti, stirare, mettere in ordine, pulire i bagni sono tutti lavori che nessuno paga. E di solito chi li fa? Una donna. 
 
E’ vero che le donne sono state le prime a pagare il prezzo della crisi dovuta alla pandemia: alcune hanno dovuto lasciare il lavoro, altre non lo trovano o hanno smesso di cercarlo. Molte lavorano da casa prendendosi cura di famiglia e dell’abitazione. C’è anche, però, chi decide di stare a casa per scelta personale e deve fare i conti con ɜ propriɜ compagnɜ, con lo Stato e spesso con le compagne di genere. Sono donne che spesso non hanno il minimo riconoscimento sociale e questo crea un senso di invisibilità e inutilità che mina l’orgoglio personale e l’appartenenza a una comunità.
Non sono donne meno emancipate o mantenute o pigre. Sono donne che hanno fatto un’altra scelta che prima di tutto dovremmo imparare a rispettare. 
Crediamo che questo, per citare la scrittrice Michela Murgia, sia un’altra eredità del patriarcato da cui dovremo liberarci a breve.
 
Rivendicare il diritto di sentirsi femministe E casalinghe.
 
Voi cosa ne pensate?
 
Margherita Lunati e Francesca Brunetti